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Stati Generali Editoria

Stati generali editoria, Crimi: contributi diretti sostengano stampa locale. Rassegne stampa chiedono tavolo ristretto

Nella giornata degli Stati generali dell’editoria dedicata all’incontro con gli editori, la parte del leone è spettata ai piccoli “player” del settore, mentre i grandi sono rimasti defilati, in silenzio, affidando all’intervento del direttore generale di Fieg, Fabrizio Carotti, la richiesta di rifinanziamento del credito di imposta sugli investimenti pubblicitari incrementali e di aiuti pubblici per agevolare il ricambio generazionale di poligrafici e giornalisti nelle aziende editoriali.

Sono stati dunque soprattutto gli editori delle testate locali, piccole e piccolissime, legate al territorio o di settore, ad affollare il parterre della Sala polifunzionale di Palazzo Chigi, a chiedere attenzione. E a rivendicare ascolto e diritto di partecipazione con la richiesta di un tavolo permanente con il governo, insieme a Fieg, per disegnare la riforma del settore, e per la riforma di quel fondo per il sostegno al pluralismo da cui dipendono le sorti della maggior parte di loro. Una presenza che ha avuto soddisfazione, almeno parziale, dalle parole del sottosegretario con delega all’Editoria, Vito Crimi, che se da un lato si è dimostrato fermo nel respingere le insistenti richieste di moratoria dei tagli ai contributi diretti, partiti quest’anno e che entro il 2022 porteranno all’azzeramento dei contributi superiori ai 500 mila euro, d’altro canto ha pienamente riconosciuto ruolo economico e sociale, ma anche le potenzialità della stampa legata al territorio.

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Capitolo a sè la presenza dei rappresentati delle rassegne stampa e media monitoring, alle prese con le trasformazioni imposte dalle nuove norme sul copyright della direttiva Europea e non solo, da cui giunge forte la richiesta dell’apertura di un tavolo ristretto sul tema del diritto d’autore, ma anche per definire un equo compenso dei rassegnisti agli editori, come sollecita l’amministratore delegato di Mimesi, Marina Bonomi. “Una richiesta che nasce soprattutto dal fatto che alcuni editori hanno deciso di non aderire, o uscire da Promopress, e stanno attivando con noi un dialogo per compensi di copyright su valori e livelli assolutamente non sostenibili per le nostre aziende” spiega. A nome della Federazione rassegne stampa e di Telpress, di cui è propietario, Pasquale D’Innella ha avuto il compito di sottolineare la differenza del lavoro dei rassegnisti rispetto le grandi piattaforme su internet: “Noi per i nostri clienti non facciamo operazioni di distribuzione di informazioni e non facciamo pubblicità. Noi siamo attivi nella gestione delle crisi. Il 70% dei nostri clienti provengono dallo Stato, e offriamo loro analisi dell’informazione, strumenti per decisioni aziendali competenti e fatte in consapevolezza. Noi non vendiamo giornali in piazza” afferma. E sulla nuova direttiva Ue sul copyright aggiunge: “Noi chiediamo che quelle norme vengano effettivamente applicate” e recepite dalla nostra legislazione, ma anche che “non si consideri il nostro lavoro come parassitario, anzi è un lavoro che contribuisce a far vendere copie, le nostre rassegne non sostituiscono i giornali”. Stessa richiesta di un tavolo con Fieg, governo ed editori, anche da Mauro Stoico, country manager di Kantar Media, una multinazionale presente in 130 Paesi europei e non che si occupa di rassegne stampa, aderente a Promopress, con licenza Ars. Quanto lamenta Stoico è la mancanza di un referente: “Non sappiamo a chi dobbiamo dare il compenso per i diritti d’autore. E’ un paradosso” afferma. “Come mai oggi qui – lancia la sua provocazione – non è venuto nessun editore a reclamare il suo diritto per il lavoro che noi svolgiamo? E non parlo del diritto d’autore in base alla direttiva Ue, ma del diritto d’autore sulla stampa italiana. L’Italia è la pecora nera in Europa in termini di diritto d’autore”.